Cara Nunzia,
Grazie infinite per le belle parole. Con “trenta e lode” ho cercato di fare il punto su molti temi che hanno caratterizzato i miei primi 30 anni. Per snocciolare le mie idee ho cercato compagni di viaggio che sapessero raccontare prima a me, e poi, visto come sono andate le cose, ai miei lettori, quali sono i valori ai quali dobbiamo credere per dare un senso alla nostra vita.
Hai detto bene: amicizia, amore, sincerità, lealtà, giustizia, sono tutti elementi imprescindibili da quali dovremmo trovare ispirazione per riuscire a costruire qualcosa di importante sia per noi stessi, ma soprattutto per il prossimo.
Come accade nella realtà, i miei personaggi non sono perfetti, vivono tra la luce dei loro pregi e il buio dei loro difetti più cupi. Forse la bellezza di “trenta e lode” sta proprio nella normalità dei suoi protagonisti, per i quali nelle prossime settimane pubblicherò per ciascuno un piccolo “speciale”.
Per quanto riguarda la questione del pubblico impiego, come si legge nel libro il problema non sono i dipendenti da me denominati volutamente “approfittatori” (non fannulloni), ma le leggi che disciplinano tutto il sistema. Se si parte dal presupposto che l’impegno e la correttezza nel lavoro dipendono dalla coscienza di ciascun dipendente pubblico, capisci anche tu che il sistema non può reggere.
Raccontando certe situazioni ho voluto mettere in luce il fatto che il pubblico impiego può riconquistare la propria dignità solo con norme certe, controlli seri (ho detto “seri” e non “senza senso” come quelli imposti da Brunetta) e soprattutto capacità di premiare il merito. L’appiattimento, l’apatia e il ristagno portano tanti dipendenti ad incunearsi tra le maglie leggiadre dell’inconsistente tessuto normativo per ottenere quei vantaggi personali non sempre moralmente ineccepibili che li compensano di un lavoro spesso non gratificante.
Tu hai ragione quando dici che non è la quantità di minuti seduti dietro la scrivania che stabiliscono se un dipendente è più prolifico ed efficiente di un altro, e non è una canzone scaricata da internet che attesta il bravo dal mediocre. Anch’io sono un pubblico dipendente e credo di poter essere il primo ad essere catalogato tra i “pessimi” dipendenti. Se una persona però è più brillante, competente e prolifica di me, ma allo stesso tempo non rispetta le norme comuni pensando di lavorare come se avesse la partita IVA, per me le sue capacità finiscono sotto le suola delle mie scarpe. Credo che IL RISPETTO RECIPROCO sia un elemento chiave per qualsivoglia gruppo di persone che decide di unirsi per qualsiasi tipo di fine.
Quando si lavora in team si possono raggiungere risultati solo se tutti gli elementi tirano la carretta dalla stessa parte. Osservare invece preferenze verso alcuni o furbizie più o meno nascoste di altri inducono chi osserva, se non stimolato dalla propria coscienza, a mollare e a uscire dal gruppo.
Ricordi? “Il calcio è la metafora della vita” e ti posso garantire che un fuoriclasse da solo non vince nulla, mentre se egli gioca in una squadra compatta può fare la differenza e arrivare al successo.
Grazie per gli spunti di riflessione
Alberto
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